Prevenire la perdita di memoria e il decadimento cognitivo Intervista sulla Fondazione IGEA Onlus

GUARDA L’INTERVISTA VIDEO

(DIRE – Notiziario settimanale Sanita’) Roma, settembre 2021. – “Prevenire lo sviluppo del decadimento cognitivo, anche dei pazienti MCI, ovvero colpiti da Mild Cognitive Impairment, in cui vi è un decadimento lieve di alcune funzioni cognitive e tra queste la memoria”. È questo l’obiettivo del protocollo clinico non farmacologico ‘Train the Brain’ e a spiegarlo alla Dire è Lavinia Narda, psicologa e psicoterapeuta che collabora con la Fondazione Igea onlus, la quale si occupa da anni e tra le prime a farlo del trattamento preventivo delle malattie neurodegenerative.

L’Alzheimer, tra queste, e di cui a settembre ricorre la giornata mondiale, ha colpito 40 milioni di persone nel mondo e un milione in Italia, per la maggior parte over 60, anche se dopo gli 80 anni colpisce un anziano su quattro. Numeri destinati a crescere con il progressivo aumento della durata della vita e con un raddoppio dei casi, si stima, ogni 20 anni. “È stato visto che attuando programmi di stimolazione cognitiva come ‘Train the Brain’ in soggetti affetti da MCI- spiega Narda- si rallenta il decorso e l’avanzamento di questa condizione. ‘Train the Brain’ agisce sulle funzioni cognitive e rinforza i fattori relazionali, emotivi e anche la socializzazione, perché quando manca può contribuire all’aggravamento di malattie come l’Alzheimer”.

Il protocollo, in italiano ‘Allena il cervello’, è stato ideato dal neurofisiologo Lamberto Maffei, presidente onorario dell’Accademia dei Lincei, che ha lavorato con la professoressa Rita Levi Montalcini. È stato sperimentato per quattro anni presso gli Istituti di Fisiologia Clinica e di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), in collaborazione con l’Università di Pisa. La prima applicazione su gruppi di persone individuate a rischio di Demenza di Alzheimer (MCI – Mild Cognitive Impairment), non ancora con la patologia neurodegenerativa conclamata grave, ma in forma lieve o moderata, è costata quattro milioni di euro e ha dato importanti risultati positivi, clinicamente documentati, rallentando la patologia e aiutando nella prevenzione e nel recupero.

“Questo protocollo- spiega Narda- ha dunque un doppio valore: fornisce uno strumento preventivo per i soggetti sani che possono proteggersi dallo sviluppo di un decadimento, ma anche rallentare il decorso di una MCI che spesso precede lo sviluppo della malattia di Alzheimer. ‘Train the Brain’ si basa sul concetto di plasticità mentale”, evidenzia la dottoressa: “Il cervello degli umani continua a rimanere plastico e a rispondere agli stimoli esterni e riorganizzarsi, anche quando è colpito da un decadimento. Da quando nasciamo a quando moriamo siamo dunque in grado di sopperire e compensare alle perdite, come accade con i neuroni persi con la malattia Alzheimer, ai suoi esordi, ma non dal momento in cui la malattia è in stato avanzato”, precisa Narda.

“Quando sopravviene una malattia dementigena i neuroni si perdono, ma si può fare un recupero funzionale, in modo che la persona rimanga più autonoma possibile e possa compensare i deficit. La plasticità è importante perché le persone più avanti con l’età, ma sane, possono rimpolpare la riserva cognitiva che è l’intensificazione e la produzione di maggiori collegamenti tra le nostre cellule neuronali, una riserva che ci permette di svolgere la stessa funzione utilizzando più strade. È stato visto che chi ha svolto attività cognitiva intensa durante la vita- spiega la psicologa- tende ad avere un minor rischio di sviluppare malattie neurodegenerative, o di svilupparle in forma meno grave. Questo- dice ancora- perché se dovesse perdere alcune cellule rimarrebbero altre strade, per compensazione”.

Secondo i dati di Maffei, che ha ideato il trattamento, l’80% dei pazienti che hanno partecipato al protocollo mostra un significativo miglioramento cognitivo, del restante 20% la stragrande maggioranza è stabile e solo due sono peggiorati. I soggetti non sottoposti al trattamento, messi nel gruppo di controllo presentano invece, nello stesso arco di tempo, un peggioramento rilevante. Con la Fondazione Igea Narda segue gruppi di anziani sani che si sottopongono al protocollo in maniera volontaria e a scopo preventivo. “Seguo anche soggetti affetti da MCI o persino da Alzheimer diagnosticato per le attività riabilitative, sempre con la Fondazione. Spesso però- precisa Narda- seguo i soggetti anche individualmente per stimolare le risorse residue dell’individuo e la compensazione delle perdite. La socializzazione resta tuttavia un’attività importante, perché impedisce l’aggravamento dei sintomi di decadimento o ne rallenta il decorso. Nella fase iniziale, infatti, si manifestano anche disturbi emotivi, stress, depressione, perché la persona ha cognizione, soprattutto all’inizio, di una perdita di concentrazione, attenzione, memoria e si attivano una serie di paure. La possibilità di affrontare queste paure in gruppo e rendersi consapevoli che questo calo può appartenere a tutti riduce il portato emotivo- spiega la psicologa.

“Il protocollo si svolge con l’obiettivo di sottoporre ai soggetti degli esercizi cognitivi: imparare un gruppo di parole attraverso una narrazione da costruire, perché è più facile ricordare una storia che una lista di quindici parole. ‘Train the Brain’ agisce però anche sugli aspetti emotivi e motivazionali, anche perché gli esercizi cognitivi vengono visti come un gioco, ma anche una sfida da affrontare in gruppo.

Lavorare sulla socializzazione, sia a scopo riabilitativo, che per la prevenzione, poiché le malattie degenerative colpiscono persone che spesso sono appena uscite dal mondo del lavoro e che per questo sono più isolate, sole, riveste un’importanza cruciale- conclude Narda”.

(Red/ Dire)